Clamorosamente ricchi di sorprese (Manchester fuori, intesa come città) e polemiche - ah, la Dinamo Zagabria e i suoi occhiolini - si è conclusa ieri la fase a gironi della Champions League. Era ora. Anche se per i tanto agognati ottavi di finale ci tocca attendere la metà di febbraio. Io però, anziché lanciarmi in avventati pronostici sugli accoppiamenti, voglio porre l'attenzione su quelle che - a mio modestissimo parere - sono state le due più grandi delusioni di questa prima parte dell'annata calcistica europea. E no, non mi riferisco al declassamento in Europa League di Mancini e Ferguson, e neppure alla prematura eliminazione del Porto che fino a sei mesi fa incantava il continente con il suo calcio lussureggiante.
Parlo invece di Lilla e Borussia Dortmund, la «peggio» gioventù d'Europa. Un anno fa, di questi tempi, entrambe prendevano coscienza del fatto che l'idea di vincere il campionato non era poi così stramba: qualche mese più tardi, difatti, erano loro a far festa, addirittura doppia per i biancorossi, capaci di mettere in bacheca anche la Coppa di Francia. Sui giornali ed in televisione, largo alle imprese di Götze e Hazard, Gervinho e Şahin, ed al gran calcio espresso dalle squadre allenate da Klopp e Garcia. Inutile dire che in moltissimi - tra cui il sottoscritto - le pronosticavano tra le possibili sorprese della Champions League che sarebbe venuta.
Dopo un'ultima notte vissuta col fiato sospeso, alla ricerca di una rocambolesca combinazione d'eventi necessaria per superare il turno, eccole fuori. Dall'Europa: neppure capaci di agguantare il terzo posto, e con esso la consolazione dell'Europa League. Le ragioni? Qualcuno potrebbe parlare di una campagna estiva che ha privato entrambe di un gioiello: Şahin è finito al Real Madrid per un tozzo di pane, mentre Gervinho ha scelto l'Arsenal di Wenger. Gündoğan e Perišić, Payet e Joe Cole, hanno però rispettivamente sposato le cause di Borussia Dortmund e Lilla: non sempre «Two is megl che One», ma di sicuro è meglio di niente.
Motivo dell'eliminazione, secondo me, un'esperienza pressoché assente in entrambe le squadra, eppure necessaria a questi livelli. Rimonte su rimonte subite da un Lilla incapace di amministrare il vantaggio, una sola - ma tremenda - quella incassata dal BVB: contro il Marsiglia, nell'ultimo turno, si è passati dal 2-0 al 3-2, in casa propria, incassando due gol a cavallo tra l'85esimo e l'87esimo. Che l'esperienza conti, poi, lo hanno dimostrato anche le italiane: per una volta, siamo gli unici ad aver raggiunto i quarti con tutte le nostre rappresentanti. Che, all'inizio della competizione, occupavano primo (Milan), terzo (Inter) e quinto (Napoli) posto nella classifica delle squadre più vecchie presenti al via della Champions League. Intruse, l'APOEL Nicosia e lo Zenit San Pietroburgo, rispettivamente seconda e quarta: anche loro agli ottavi, a discapito delle favorite - almeno secondo il coefficiente UEFA - Porto e Shakhtar Donetsk.
giovedì 8 dicembre 2011
Calcio d'angolo - Quando conta l'esperienza
martedì 29 novembre 2011
Calcio d'angolo - Il miglior Zlatan d'Italia
Cento e lode, per l'Ibrahimović bianconerazzurrossonero in Serie A. L'atroce neologismo sta ad indicare che, Zlatan, i suoi 101 gol li ha suddivisi tra Juventus, Inter e Milan. 56 di destro, 16 di sinistro, 10 di testa, 16 su rigore, 3 su punizione, 50 in casa, 51 in trasferta: uno più bello dell'altro. Sull'importanza, non sto a sindacare, perché - sino al confine, non oltre - di gente più decisiva di lui alle nostre latitudini non se ne vede da tempo. Ma qualcosa su cui discutere, per fortuna, c'è: Zlatan Ibrahimović da Rosengård, sobborgo di Malmö, con quale maglia italiana ha dato il meglio?
La prima indossata, quella della Juventus di Moggi e Capello, ci ha forse regalato - di sicuro, secondo il sottoscritto - lo Zlatan più selvaggio, anarchico e di conseguenza spettacolare. Pesava 10 chili in meno di oggi, ubbidiva alla sola legge della strada (applicata al calcio: dribbling, scaramucce e molto altro) e segnava con una costanza sin lì sconosciuta: 16 gol, quanti Mauro Esposito, due in più del capitano Alex. Capello gli intima di sorbirsi - secondo la concezione zlataniana, per me il divino Marco può essere unicamente ammirato - le videocassette di van Basten, lui preferisce ascoltare Raiola: mugugni, e Calciopoli scatena un derby meneghino.
Lo vince l'Inter, nei minuti di recupero. Zlatan glissa sugli scudetti vinti, persi, di cartone o chissà di che altro, e svela: qualche anno prima, sognava la maglia nerazzurra, la stessa di Ronaldo. Ruffianata? No, date un'occhiata qui: http://www.youtube.com/watch?v=jIELSA1ss6s, allo scoccare del sesto minuto. Ora, parola al campo. Nel suo regno, coltiva l'hobby degli scudetti, bisticcia con Mancini e s'innamora di Mourinho. Evolutosi in centravanti - per nulla classico - infila portieri con disarmante facilità, come e quando gli pare: capocannoniere. Del calcio del 2009, però, è stufo: va al Barça, a giocare quello «del 2015». Sappiamo tutti com'è andata a finire.
Il mesto ritorno a Milano dopo l'annataccia catalana lo porta sulla sponda rossonera del capologuogo lombardo. Chi vi ricorda? Sì, proprio il suo idolo Ronaldo. Al Milan, ecco un nuovo, ennesimo Zlatan. Puledro di razza, faticosamente domato, con la maglia della Juventus, all'Inter aveva monopolizzato gioco, gol e scudetti; adesso, a cavallo dei trent'anni, si scopre leader come non mai. Parla, spesso troppo, mai a sproposito, e sfida il colossale Onyewu: l'unico difensore contro cui ha avuto la peggio in Italia. Quest'anno, con ancora qualche giorno di novembre davanti, ha segnato la metà dei gol messi a segno in campionato nella scorsa stagione, giocando però meno di un terzo delle partite, e pareggiato il conto in Europa. Che sia l'anno buono? Uhm...
Dopo tre paragrafi d'analisi, ecco il mio responso alla questione iniziale: il miglior Ibrahimović s'è visto sotto Mourinho, nell'ultima Inter con due Coppe dei Campioni in bacheca. Dominante a dir poco, spietato sotto porta, effettivamente nullo in Champions League ma pur fuori controllo in Serie A. Una gioia per gli occhi, roba da metter da parte la propria fede calcistica.
domenica 20 novembre 2011
Calcio d'angolo - È ora di fare «mea culpa»

Tornato il calcio, quello da tre punti, dopo le barbose amichevoli internazionali, ecco la consueta marea di spunti disseminati per l'Europa. C'è un Rooney che ha smarrito la via del gol: l'ultimo oltre un mese fa, a Galați contro l'Oțelul, mentre in Premier League è a secco dal 18 settembre (3-1 al Chelsea). In Germania, Götze e Reus stanno esplodendo fragorosamente. Ed il Valencia, nella Liga, dà filo da torcere al Real Madrid; Mourinho, a cavallo del fido destriero... Callejón, mantiene però la vetta della classifica. Guardando al nostro orticello, salta invece agli occhi la gran prestazione del mio pupillo Coutinho.
Dando un'occhiata alle statistiche, è facile rendersi conto della mia errata previsione. 101 partite disputate, 242 gol segnati appena. La bellezza - sì, come no - di 14 incontri terminati a reti inviolate, e una media gol che è la più bassa dal ritorno - anno di(s)grazia 2004 - della massima serie a 20 squadre. A me, che m'ero illuso al tramonto dell'estate di potermi godere un campionato perlomeno ricco di gol, non rode poi più di tanto per l'errata previsione, ma soprattutto a causa di un campionato il cui livellamento verso il basso è sempre più evidente.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
domenica 6 novembre 2011
Calcio d'angolo - Ibra e gli scolaretti di Guardiola: a conti fatti, gli sarebbe convenuto studiare di più...

Jag är Zlatan Ibrahimović. Io sono Zlatan Ibrahimović. E voi chi cazzo siete? No, non siamo nello spogliatoio dell'Ajax all'alba del terzo millennio - anche perché questo leggendario siparietto non è mai effettivamente avvenuto - ma sugli scaffali di una qualsiasi libreria: l'uscita dell'autobiografia di Zlatan è imminente. Non chiedetemi di cosa si parli, perché non l'ho - ancora - letta, ma sui giornali non si parla d'altro che dell'odio viscerale nutrito dallo svedesone nei confronti di Pep Guardiola. La principale - forse unica - causa del suo fallimento in blaugrana, secondo Zlatan.
Che, va detto, era arrivato a Barcellona in cambio di Eto'o ed una vagonata di milioni: attendersi che tenesse i piedi per terra era quantomeno ardito, visto il caratterino del figlio di Rosengård. Smanioso com'era di metter le mani sulla Coppa dei Campioni giocando quello che lui stesso aveva definito «il calcio del 2015», Zlatan si sente dire che bisogna mantenere un profilo il più basso possibile. E lasciare il garage Ferrari e Porsche: sacrilegio!, pensa lui, che candidamente dichiara di aver toccato i 325 km/h al volante. Con la polizia alle calcagna, sia ben chiaro.
Poi, c'è Leo Messi. Il cocco della maestra, lo scolaretto - da 202 gol in 287 partite, al 4 novembre 2011 - che chiede di giocare centravanti: lì c'è Zlatan? Guardiola se ne infischia, e asseconda l'argentino che la butta dentro 34 volte (record personale) nella sola Liga. Il mondo si capovolge, per Ibra: non gira più tutto attorno a lui, gira tutto e basta. Attorno al pallone, agli avversari, alle invezioni di Xavi, le magie di Iniesta ed i gol di Messi. Non i suoi, che col tiqui-taca non c'entra assolutamente nulla. La butta dentro, per carità, anche se meno di un debuttante Pedro, ma sbaglia tanto, troppo, davanti alla porta e lontano da essa. Contro il Villarreal finisce in panchina, e Pep gli regala cinque minuti appena: «Mister!», «Sì?», «Vaffanculo».
Contorno dal sapore speciale, anzi, Special: «Sei senza coglioni, ti caghi addosso davanti a Mourinho. Rispetto a lui non vali un cazzo». Questo l'aggiunge Zlatan, io aggiungo che: Mourinho era stato «tradito» da Zlatan, fuggito in Spagna alla ricerca di un successo continentale che - a suo dire - l'Inter non avrebbe mai potuto garantirgli; lo stesso Mourinho, in quel fausto (per i tifosi interisti) 2009-10, fece fuori il Barça in semifinale di Champions League. Una volta rispedito al mittente - ovvero, la Serie A - il pacco-Ibrahimović, ecco di nuovo Pep e la sua classe di bravi scolaretti in cima all'Europa.
A conti fatti, quindi, è Zlatan quello che è tornato in Italia con la coda fra le gambe. Quelli lì, invece, sono ancora i più forti del globo. La filosofia di Guardiola paga, come confermato dagli scolaretti. Secchioni, forse, ma anche a Ibrahimović sarebbe convenuto studiare un - bel - po' di più.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
giovedì 27 ottobre 2011
Calcio d'angolo - Arriva il vento del Levante

Real Madrid o Barcellona, Barcellona o Real Madrid. Di solito Barça. Spanish Premier League. Quest'anno, però, le cose vanno meglio del previsto: a Valencia, soffia piacevole una brezza. Vento di Levante, vento del Levante: aria nuova per una Liga ormai divenuta sinonimo di «diarchia». Primo in classifica con 23 punti, imbattuto, Real Madrid (sconfitto 1-0 alla quarta giornata) e Barcellona sono - per ora - costretti ad inseguire. Io, personalmente, mi auguro che quest'inseguimento duri il più a lungo possibile, e - magari - aggancio e sorpasso non si concretizzino mai.
Un sogno, solo un sogno. Già contro la Real Sociedad, c'è voluto un «zurdazo» di Rubén, da 40 metri e ormai tre minuti oltre il novantesimo, per conservare il primato in graduatoria. Prima o poi, Juan Ignacio Martínez e i suoi uomini si sveglieranno, o verranno svegliati dalla furia dei due cannibali plurimilionari. Intanto, godiamoci quest'avvio e sfruttiamolo per una saporita rievocazione.
Siamo nel 2002-03, e a San Sebastián si forma una strana coppia. Darko Kovačević, centravanti serbo originario della Voivodina, dopo tre stagioni spese in Italia (Juventus e Lazio, senza lasciare un ricordo indelebile) fa ritorno nei Paesi Baschi. All'«Anoeta», Darko fa la conoscenza di Nihat Kahveci. Turco, smilzo, 23 anni neppure compiuti ed un semestre trascorso a San Sebastián prima di andarsi a conquistare il terzo posto ai Mondiali nippocoreani. Raynald Denoueix, l'allenatore francese, reduce da titoli vari con il Nantes in Ligue 1 oltre che dall'amaro esonero, vede scoccare una scintilla: 43 gol in due, 23 a 20 per il turco, ed il 15 giugno 2003 ci sono loro in testa alla classifica. È la trentasettesima giornata, la penultima. Il Celta Vigo, in lizza per il quarto posto che significherebbe Champions League per la prima volta nella storia della società, vede piombarsi in casa la strana coppia. Mostovoi è spietato, segna due gol e - mentre il Real fa a polpette l'Atletico nel derby, 4-0 - costringe Nihat (doppietta anche per lui, quella notte) e compagni a vedersi scavalcare dagli allora «Galacticos». Una settimana dopo, gli «Zidanes y Pavones» vincono il campionato.
Son sicuro che, a Levante, firmerebbero comunque per vivere una stagione simile a quella Real Sociedad. Doloros(issim)o epilogo compreso.
domenica 23 ottobre 2011
Calcio d'angolo - Balotelli porta il fuoco in campo, Mancini li sa far giocare: il City non è più solo un'accozzaglia di campioni
Fuochi d'artificio, in casa ed anche sul lavoro, per Mario Balotelli. Prima rischia di mandare in fumo se stesso e la lussuosa villa di Macclesfield in cui risiede, poi brucia sul tempo i difensori del Manchester United nel derby cittadino e sigla una doppietta. La partita prende una strana piega, anche a causa dell'espulsione di Evans - provocata da Balotelli, of course - e alla fine il tabellone dice 6-1 per la metà «blue» di Manchester. Che ora, oltre che ricca, è pure la più seria candidata alla conquista del titolo in Premier League. Ma lasciate che mi spieghi, dato che siamo al 23 di ottobre e di gol e parate e calci di rigore ed espulsioni ne vedremo una miriade, da qui al termine della stagione.
La ricchezza, dello sceicco Mansour e consueguentemente della rosa, innanzitutto. Il rapporto tra qualità e quantità dei calciatori a disposizione di Roberto Mancini non ha eguali, neppure il Barça «illegale» - non per Javi Varas, poliziotto coi guantoni - può vantare un tale numero di campioni. Certo, può capitare che Fàbregas assaggi la panchina, ma se in difesa Piqué e Puyol mancano, son guai per Guardiola... Forse solo il Real Madrid può vantare un simile numero di campioni con indosso la stessa, stupenda maglia (in special modo quella nera con rifiniture dorate, sfoggiata nel massacro de «La Rosaleda»), ma gioca in un campionato differente, ed il City pare ancora acerbo per puntare alla Champions League.
Difatti, io mi son limitato al campionato inglese. Perché se è vero che una volta varcato il Canale della Manica i Citizens vanno sistematicamente in svantaggio (tre su tre nel girone eliminatorio), in casa loro fanno la voce grossa. E le avversarie non fanno più così paura. Liverpool ed Arsenal, cui di grande rimane ormai - purtroppo - il solo nome, sono più vicine alla zona retrocessione che alla vetta della classifica. Al cui inseguimento, ecco Manchester United e Chelsea. I primi, son partiti col freno a mano tirato anche in Europa: due pareggi, il secondo agguantato per i capelli in Svizzera, e una vittoria di rigore contro l'Oţelul Galaţi; il Chelsea, che pure si gode la Champions, ha già accumulato 6 punti di ritardo in campionato, e i nervi paiono parecchio tesi, a giudicare dalla doppia espulsione rimediata nel derby londinese con il QPR, perso 1-0.
Infine, il gioco. Mancini, che pure da noi è ricordato più per il mediano (Stankovic, solitamente) travestito da rifinitore posto in pressione sul regista avversario, ha dato a questa squadra un'identità tattica precisa. Il gol dev'essere il coronamento di un azione, non frutto di casualità. E l'azione, vista la qualità degli intrepreti - Silva, che gioia per gli occhi - e gli investimenti dello sceicco, dev'essere quanto più bella possibile. Sin qui, risultati e fatti stanno dando ragione al tecnico. Che, se le mie previsioni sono esatte, tra qualche mese potrà festeggiare il primo successo in Premier League.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
martedì 18 ottobre 2011
Calcio d'angolo - A Napoli manca sempre uno per fare trentuno

Stasera c'è il Bayern Monaco di scena al San Paolo, record d'incasso (circa 2 milioni e mezzo di euro, biglietti esauriti con largo anticipo) e persino 100 bagni chimici installati per l'occasione, proprio come vuole l'UEFA. Ma Francesco non sarà presente allo stadio. Tra gli oltre 60mila che sono riusciti ad accaparrarsi un biglietto per l'attesissimo incontro, lui non c'è: io, che ho raccolto il suo sfogo, vi racconto come mai.
«La notizia della vendita scaglionata dei biglietti mi aveva piacevolmente sorpreso», mi racconta, poi, dopo un riferimento a Napoli-Liverpool della scorsa Europa League, riprende: «niente code chilometriche, chi è interessato ad un determinato settore ha vita facile. Convinto che le cose siano destinate ad andare così, per un giorno rinuncio all'università e mi reco in ricevitoria». Che giorno è? Martedì 11 ottobre, quello in cui, teoricamente, si apre la vendita dei biglietti per i «distinti superiori»: dopo ore di fila, figlie anche del malfunzionamento dei terminal, è turno di Francesco. Il quale, oltre a scoprire che i biglietti per il settore agognato sono già terminati, si becca una sonora risata in faccia, contornata dalle seguenti parole: «I biglietti per i "distinti superiori" li stiamo stampando da questa notte, è ovvio che siano esauriti». Francesco chiede allora delle curve, per i biglietti dovrebbero teoricamente essere messi in vendita dal giorno successivo; la risposta, è di quelle che fan cascare le braccia: «Finiti anche quelli», e un'altra risata.
E qui Francesco mi mette al corrente di una verità scomoda: era sufficiente «prenotarsi», ovvero presentarsi in tabaccheria con qualche giorno d'anticipo e cinque euro di «bonus» per prenotare in tranquillità biglietti che sarebbero poi stati stampati mentre l'interessato dedicava il tempo che le infinite code gli avrebbero rubato a qualcosa di più edificante. Qualcuno obietterà che si tratta di voci, ma anche a Francesco - che non è un nome di fantasia - è capitato di ricorrere a quest'espediente: contro l'Udinese, nello scorso campionato, acquistò ben sei biglietti con due settimane d'anticipo e cinque euro di quello che mi sono permesso di chiamare «bonus». Il tutto senza mostrare alcun documento, né sentirsi dire che di biglietti se ne può acquistare uno a testa.
Riepilogando: record d'incassi per il Napoli, e San Paolo esaurito. Si preannuncia una magica notte di calcio, al sapore di Champions League, e Francesco sarà a casa sua. Così come molti altri tifosi che - qualcuno direbbe: ingenuamente - si son sorbiti ore e chilometri di fila, per ritrovarsi con un pugno di mosche. A Napoli manca sempre uno per fare trentuno.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
domenica 16 ottobre 2011
Calcio d'angolo - L'Interaccia, scritta di getto

Scrivo di getto, dopo l'ennesima sconfitta subita dall'Inter. L'«impresa», ché ormai va virgolettata, è del Catania, ma forse di impresa (interista) si sarebbe trattato in caso di vittoria, ecco. Cambiasso e il suo gol sono un'illusione, così come i 6 punti messi in cascina da Ranieri nelle prime due uscite: una scossa lievissima, buona giusto per risollevare gli animi dei più ottimisti ed occupare le prime pagine dei quotidiani sportivi. Una volta tornati al lavoro dopo la sosta, con un Forlan in meno, ecco la nuova-vecchia Inter.
L'impressione, che l'andare del calendario stra tramutando in certezza, è che la colpa non fosse esclusivamente di Gasperini. Né di Ranieri, che pure sta provando a plasmare la squadra. Ecco, la squadra: è stanca. Stanchissima, sia psicologicamente che sul piano fisico, e guardando la carta d'identità non potrebbe essere altrimenti. Al Cibali, dove un'Inter allo sbaraglio non fa più clamore, si è - per l'ennesima volta - ammirato un triste spettacolo: una volta in svantaggio, la fioca reazione di quelli con la banda trasversale nerazzurra sul petto serve solo a mortificarne i tifosi.
Tifosi, ed opinionisti vari, che dopo la débâcle figlia dell'errore di Rocchi si erano scagliati contro la classe arbitrale, si ripeteranno probabilmente all'indirizzo di Orsato, reo di aver estratto dal taschino - anziché dal canonico cilindro - un rigore, corredato dall'ammonizione di Castellazzi, che definire «dubbio» è eufemistico. I fantasmi di Calciopoli torneranno ad aleggiare in radio e tv, ma fino ad un paio d'anni fa l'Inter, anche se ridotta in 9 per 45 minuti, vedeva il proprio condottiero mimare le manette e la propria porta rimanere inviolata, anche contro la Samp (quarta a fine campionato, mica bruscolini) di Delneri, quella di Cassano&Pazzini insomma, anche se Cassano quella sera lì non era in campo. Ecco, quell'Inter tirava fuori gli attributi e, in un modo o nell'altro, raggiungeva il proprio obiettivo anche se penalizzata dall'arbitro.
Tornando al campo, ed anzi virando in panchina, i più catastrofici giù pregustano una riedizione della tragicomica campagna '98-99: Simoni, Lucescu, Castellini ed infine Hodgson si avvicendarono su una panchina incredibilmente scomoda. Al 15 ottobre del 2011 siamo a due, Gasperini e Ranieri: più allenatori che vittorie, non è un buon segno. Che Interaccia.

Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
lunedì 3 ottobre 2011
Calcio d'angolo - Prandelli mi ha sorpreso. In negativo

Più provinciale che mai, la Juventus di Conte ha stregato tutti. Prandelli compreso. Prima di passare alle convocazioni del cittì, «finalmente» discutibili, una breve parentesi bianconera. Perché questa squadra, che corre quanto un Novara qualsiasi - senza nulla togliere al Novara - e guida la classifica come quando in panchina c'erano Lippi o Capello, e dietro la scrivania qualcuno che evito di citare perché di tuffarmi in polemiche decrepite non ho voglia.
Ritornando sul rettangolo verde, i dubbi su questa Juventus - che vuole e può diventare grande - sono legati prevalentemente alla tenuta fisica della squadra: a Pirlo pare sia stato impiantato un terzo polmone, mentre Marchisio si è svegliato dopo un biennio di profondo sonno, e Vidal sta confermandosi sugli elevatissimi livelli raggiunti in Germania (dove, però, andava in doppia cifra). Finché avranno fiato loro, così come gli esterni - Pepe e Giaccherini meglio di Krasic ed Elia, sin qui - la Juventus potrà continuare a rincorrere un piazzamento onorevole, perché lo scudetto non è ancora alla sua portata, nonostante il discreto vantaggio sin qui accumulato sulle deludentissime milanesi.
Veniamo a Prandelli, che ha trapiantato in Nazionale ben sei juventini: Buffon, Pirlo, Marchisio, Chiellini, Barzagli e Bonucci. Quest'ultimo, assieme a Cigarini, rappresenta la modesta novità per un allenatore che per la prima volta snobba il campionato ed i suoi verdetti. Uno su tutti: dopo averci illuso, poco più che ventenne nel Pisa di Ventura, Alessio Cerci è finalmente diventato grande. In tutti i sensi, perché a 24 anni sta finalmente esprimendo il proprio potenziale, spaccando partite e macinando chilometri e infilando portieri con la maglia della Fiorentina, cui ha sin qui regalato 4 gol in 6 partite tra campionato e Coppitalia. All'ala destra, nel 4-3-3 che inizialmente Prandelli sognava, non sfigurerebbe di certo, e Cassano o Balotelli non darebbero di matto - anche se, con due così, il rischio c'è sempre - se dovessero ritrovarsi ad agire qualche metro più in là.
Il gradito e meritato ritorno di Barzagli, infine, è motivato da un avvio di campionato decisamente fruttuoso per il difensore centrale toscano, mentre la presenza del collega e compagno di spogliatoio Bonucci stupisce per il motivo opposto: una partita appena giocata per intero, contro il Milan, e neppure senza sbavature. Bocchetti, autore di una curiosa doppietta russa, si perplime. Lo stesso vale per Campagnaro, «nuovo italiano» come Schelotto - che inizio con l'Atalanta!, e può coprire l'intera corsia destra - neppure preso in considerazione da Prandelli. Che, per una volta, è riuscito a sorprendermi. In negativo.
domenica 2 ottobre 2011
Calcio d'angolo - I cinquant'anni di Mazzarri

Se gli avessero detto che il più bel regalo per i cinquant'anni gliel'avrebbe fatto un arbitro, proprio a lui che con chi usa il fischietto non ha mai avuto un rapporto idilliaco, sono certo che vi avrebbe mandato - neppure troppo cordialmente - a quel paese. Eppure, Gianluca Rocchi da Firenze, che non è l'ultimo arrivato: oltre 100 partite dirette in A ed un cartellino munito di passaporto dal 2008, ha omaggiato Walter Mazzarri ed il suo tutt'altro che bisognoso Napoli di un rigore inesistente, condito dall'opinabile espulsione di Obi. Il tutto dopo 40, gradevolissimi minuti di gioco, durante i quali le squadre si erano affrontate a viso aperto, mantenendo le promesse di una gara avvincente. Poi, sopra di un gol ed un uomo, il Napoli ha azzannato la partita alla giugulare, uccidendola lentamente ed incrementando in vantaggio grazie al pisolino di Nagatomo.
Il mio scopo principale, però, non è quello di criticare l'operato di Rocchi: ci penseranno le infinite e spudorate moviole, stavolta per molto più della canonica settimana, data la sosta del campionato e la penuria di spunti. A me va semplicemente di fare i complimenti a Mazzarri, il cui Napoli si trova ora in vetta alla classifica - in attesa di Udinese e Juventus, va precisato - con 10 punti, perché l'operato del tecnico toscano diventa sempre più incredibile.
Due anni fa - giorno più, giorno meno - un Napoli sostanzialmente identico a quello sceso in campo ieri sera, che però vanta un Inler in più, aveva racimolato la miseria di sette punti in altrettante partite, sotto la guida di Donadoni. Oggi, ecco Mazzarri e la squadra che ha potuto plasmare a propria immagine e somiglianza calcistica in vetta alla classifica della Serie A, con un complessivo 6-1 inflitto alle milanesi e la crescente convinzione che la formazione favorita per la scudetto sia proprio quella con la «N» sul petto.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
lunedì 26 settembre 2011
Calcio d'angolo - Il nerazzurro torna di moda

Il nero e l'azzurro, abbinati, non sembravano proprio i colori di questa Serie A. Un'Atalanta penalizzata e priva di Doni a causa del calcioscommesse veniva dai più - me compreso, lo confesso - considerata prossima al ritorno in B, mentre l'Inter di Gasperini - che, confesso anche questo, non ho mai amato - arrancava a Pechino come nello Stivale: insomma, l'accostamento non pareva destinato ad avere gran successo in passerella.
Invece ecco due sarti che si rimboccano le maniche, e confezionano nuovi abiti per le proprie indossatrici. Ranieri, a Milano, in fretta e furia: esonerato Gasperini - a proposito: non è stata GasperInter - nel bel mezzo della settimana, si è ritrovato a fare gli straordinari pur di presentare nell'anticipo contro il Bologna un vestito quantomeno decente. Il suo 4-4-2, con Coutinho libero d'accentrarsi fino all'avvicendamento con il più disciplinato Jonathan, magari non esalta le forme della squadra, ma aspettiamo almeno che rientri Sneijder per dare un primo e labile giudizio.
Ecco quindi che il nerazzurro torna di moda, almeno in Lombardia. Perché sessanta e rotti chilometri a nord-est del «Meazza» c'è l'«Atleti Azzurri d'Italia», teatro delle sin qui strabilianti «sfilate» dell'Atalanta. Tre vittorie consecutive, contro Novara, Lecce e Palermo, dopo il pareggio genoano dell'esordio, ed un primato in classifica esclusivamente virtuale, perché in vetta ci sono Juventus e Udinese a quota 8. Senza quel macigno, quei 6 punti in meno, davanti a tutti ci sarebbe un'Atalanta da 10 punti in quattro partite, e qualcuno - scherzosamente, o forse no - parlerebbe di fuga nerazzura.
Dato a Cesare quel che è di Cesare, mi pare doveroso mettere in guardia i sognatori: salvo clamorosi imprevisti, non ci sarà nessun miracolo atalantino. La fruttuosa partenza è stata sapientemente pianificata da Colantuono in estate, a Rovetta, nel corso del ritiro estivo, per garantire alla squadra di scrollarsi di dosso i punti di penalità e sgombrare la mente dai pensieri di rincorsa: il rischio, concreto, è quello di una flessione - o, peggio, un crollo - in prossimità dell'inverno. E se la salvezza non dovesse essere suffragata dall'aritmetica con largo anticipo, le ultime quattro giornate (Fiorentina, Milan, Lazio e Juventus) potrebbero persino risultare fatali per quest'Atalanta.
lunedì 19 settembre 2011
Calcio d'angolo - Se Roma piange, Milano non ride

Centottanta minuti di campionato non bastano per dar vita ad una classifica sensata, ma un interessante spunto riescono comunque ad offrirlo. Non in vetta, bensì nelle retrovie: Milano e Roma, complessivamente, hanno totalizzato la miseria di quattro punti in otto partite, frutto di un doppio pareggio, per giunta nel duplice incrocio, Milan-Lazio e poi Inter-Roma. Il contorno del punticino varia, a seconda della città e del colore del tifo: i capitolini hanno visto violare l'Olimpico in due occasioni, Cagliari - capolista - e Genoa, mentre le milanesi sono tornate a bocca asciutta dalle insidiose trasferte meridionali di Palermo e Napoli. Identico quindi l'avvio, ma le sue cause ed il prosieguo del campionato sono e saranno di certo differenti.
Per il Milan innanzitutto, la cui partenza stentata non avrebbe dovuto sorprendere i calciofili. Una marea d'infortuni, e poi le squadre di Allegri hanno notoriamente bisogno di qualche settimana prima di carburare: cinque sconfitte consecutive all'esordio sulla panchina del Cagliari nel 2008, un pareggio e tre K.O. un anno più tardi, quindi - escluso il 4-0 rifilato al Lecce nella prima giornata - la sconfitta cesenate e due pareggi al debutto rossonero. Insomma, tra un mese o forse anche prima, ci ritroveremo a celebrare nuovamente le gesta dei rossoneri, che nonostante la batosta subita da Cavani rimangono i più plausibili candidati allo scudetto.
Sull'altra sponda dei Navigli, invece, la situazione è diametralmente opposta: il pareggio strappato alla Roma ha regalato a Gasperini il primo punto sulla nuova panchina. Dopo tre sconfitte. Il caos interista, palesatosi anche in Europa contro i turchi del Trabzonspor (sconfitti in casa dal tutt'altro che temibile Büyükşehir Belediyesi di Istanbul nel turno di campionato successivo allo storico mercoledì di Champions League) non lascia presagire nulla di buono per un campionato che, se le cose non dovessero cambiare, difficilmente verrà concluso sotto la guida di Gasperini.
Neppure nella capitale la situazione è delle più rosee. La Lazio, dopo aver annichilito il Rabotnički in agosto ed essersi ritrovata in vantaggio di due gol a San Siro dopo 21 minuti nella partita inaugurale, ha rallentato contro il Vaslui in Europa League, prima d'inciampare all'Olimpico contro un grintoso Genoa. Reja mugugna, ma il suo dirimpettaio Luis Enrique non può certo stare allegro: dopo lo sgambetto europeo subito dallo Slovan Bratislava, ecco il solito Daniele Conti in gol contro chi l'ha svezzato - suo padre Bruno, ma anche la stessa Roma, seppur in senso esclusivamente calcistico - ed un'ennesima sconfitta.
Il riscatto, però, è possibile per entrambe, e se dalla Lazio ci si può legittimamente attendere quantomeno la conquista di un posto in Europa, alla Roma di Luis Enrique viene semplicemente chiesto di mettere in pratica il proprio, ambiziosissimo progetto. L'augurio è che ci riesca, ma la mia sensazione - purtroppo - è che il tecnico spagnolo non avrà neppure la possibilità di conoscere le prelibatezze della cucina italiana. In special modo il panettone.
domenica 18 settembre 2011
Calcio d'angolo - Non sarà mai GasperInter/2

Gasperini, soddisfatto di questo pareggio?
«Indubbiamente sì. Il mio Genoa è venuto a San Siro per giocarsela contro la Roma, pur sapendo di essere inferiore, ed il punto guadagnato è la prova che siamo riusciti nel nostro intento».
E di Muntari, che mi dice?
«Modestamente, l'idea di schierarlo come centravanti è stata mia. Sa, Forlán è un attaccante: non era quello di cui avevamo bisogno per difendere un risultato ottimale come lo 0-0».
Credo che una discussione con Gasperini, tenuta negli istanti immediatamente successivi al triplice fischio di Mazzoleni, si sarebbe svolta pressappoco così. All'allenatore nerazzurro - finché Moratti non si dirà stufo anche di lui - non paiono essere bastati quasi tre mesi per comprendere il pur complicato universo interista: la gavetta di Crotone e gli assaggi di Serie A in salsa genoana vanno necessariamente dimenticati, perché la loro influenza sul suo operato è ancora sin troppo evidente.
La rivendicazione della difesa a tre, quella sì, da me invocata e - del resto - comprensibilissima, non può essere biasimata: contro la Roma, complice la più che discreta prestazione di Júlio César, la porta è persino rimasta inviolata. Bene. Sneijder, invece, continua ad essere sballottato, una volta panchinaro, un'altra ala, quella seguente trequartista, oggi interno sinistro di centrocampo: male. Quantomeno curiosa, invece, la gestione dei cambi, in particolare modo l'automutilazione del centravanti operata a 10 minuti dal termine, sostituendo Forlán con Muntari e lasciando Pazzini ancorato alla panchina.
Il suddetto cambio, che pure ha consentito a Sneijder di operare finalmente sulla trequarti e sfiorare un gol fortunosamente evitato da Kjær, ha finito con lo svuotare l'area di rigore romanista, sporadicamente visitata da Muntari, con Zárate a vagabondare sull'esterno. Forse Gasperini, così come il dirimpettaio Luis Enrique, è rimasto ammaliato da Guardiola, che ai giornalisti dice orgogliosamente: «Giochiamo senza prima punta perché il nostro centravanti è lo spazio». Bell'idea, per carità, ma i tifosi interisti si augurano che il loro allenatore inizi ad imitare quello del Barça anche sul piano dei risultati, perché non credo sia necessario informare voi lettori del risultato di Barcellona-Osasuna.
giovedì 15 settembre 2011
Calcio d'angolo - Non sarà mai GasperInter
Non sarà mai GasperInter. Il sentore, niente affatto vago, che l'allenatore nerazzurro - fino a quando? - fosse un uomo morto che anziché camminare siede in panchina, lo si era avuto sin dal giorno (24 giugno, per la cronaca) in cui l'interminabile serie di «no, grazie» incassata da Moratti lo aveva portato ad apporre la propria firma sul contratto. Che, andando avanti di questo passo, finirà per venire stracciato con discreto anticipo sulla data di scadenza.
«Sei partite, sette al massimo», fu la timida richiesta dello spaesato Gasperini, inizialmente illusosi di poter plasmare l'Inter a propria immagine e somiglianza. Siamo a metà strada, 270 minuti di gioco, ed i risultati sono equivalenti al numero di punti conquistati: zero. I dubbi, invece, aumentano di ora in ora, specialmente dopo l'inammissibile sconfitta casalinga rimediata contro il Trabzonspor (in gol Ondřej Čelůstka, un quarto d'ora di Serie A con il Palermo).
La partita con un'annaspante Roma, nell'anticipo notturno del sabato, fugherà ogni dubbio, mettendo forse in fuga Gasperson (così chiamato a Genova, sui Navigli ancora non hanno capito perché). In questo derby tra pericolanti, perché neppure il dirimpettaio Luis Enrique ha mai assaporato la vittoria sulla panchina giallorossa, dovrà però necessariamente saltar fuori di che pasta è fatto Gasperini: integralista no di certo, l'ha detto e dimostrato assecondando il presidente e presentandosi in Champions League con il quartetto difensivo, ma - esonerato per esonerato - che almeno si faccia mandar via pensando con la propria testa. Via di 3-4-3, con buona pace di Sneijder, anch'egli assecondato dopo un quarto d'ora di sgradito vagabondaggio sulla fascia sinistra contro i mediocri turchi, e spazio alle idee che avevano reso il suo Genoa la squadra più divertente d'Italia. Perché, in fin dei conti, è meglio avere rimorsi che rimpianti.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
sabato 10 settembre 2011
Calcio d'angolo - La nuova Serie A(ll'attacco!)

Che il buon giorno si veda dal mattino è tutto da verificare, ma noi calciofili non possiamo che augurarcelo. Pronti, via: trentatré minuti di Serie A, quattro gol, con tante grazie a Milan e Lazio per lo spettacolo offerto. E gli spunti di riflessione, ovviamente, si sprecano. Dalle sbavature di Nesta, cui qualcuno consiglierà - ottusamente - di appendere il prima possibile gli scarpini al chiodo, al gol di Klose, cui sono bastati 12 minuti appena per eguagliare il bottino di reti fatto registrare nell'intera Bundesliga 2010-11. Poi l'infido 4-2-3-1 pensato da Reja, con Cissé all'ala per disorientare Abate e l'intera difesa rossonera, i piedacci di Lulić, la ritrovata vena di un Cassano galvanizzato dalla maglia azzurra.
Ma la questione più interessante l'ha sollevata Fabio Caressa, mentre si fregava le mani ammirando la partita: questo campionato, che a detta dell'UEFA vale meno di Premier League, Liga e Bundesliga, e rischia di venir scavalcato anche da Ligue 1 e Primeira Liga, potrebbe - e dovrebbe - regalarci almeno un calcio d'attacco, e conseguentemente lo spettacolo di cui la massima serie era da tempo orfana. Detto di Milan e Lazio, squadre votate all'offesa come ampiamente dimostrato dall'avvincente esordio, grandi e non della penisola si apprestano - chi più, chi meno - a dimenticare il vecchio adagio «primo non prenderle».
Gasperini ed il suo arrembante 3-4-3, con Sneijder e tre attaccanti veri (Forlán, Zárate e Milito, con Pazzini prima alternativa) si augura di ripetere quanto di buono fatto sulla sponda rossoblu di Genova. A Torino, invece, Conte predica il 4-2-4: un mediano che guardi le spalle a Pirlo, due ali ed altrettante punte. La Roma, con Luis Enrique che pensa blaugrana, non poteva esimersi dal 4-3-3, con tre punte strette - non necessariamente Totti più altri due, perché le natiche del capitano assaggeranno la panchina più spesso del solito - e due incursori, oltre a De Rossi. Nulla di nuovo, invece, per Mazzarri: il suo Napoli riconferma il 3-4-2-1, con Pandev e Santana portati in dote dal mercato per far rifiatare Cavani, Lavezzi e Hamšík. Scorrendo la griglia di partenza, balza all'occhio il tridente della Fiorentina, ed ancor più quello cesenate: Giampaolo, che in teoria lotta per salvarsi, punta forte su Mutu, cui affiancare Éder, Ghezzal, Martinez, Bogdani o il promettente Malonga per completare il trio d'attacco, alla cui ispirazione sarà deputato Candreva, senza dimenticare il riconfermato Parolo (5 gol nella scorsa stagione).
Per chi non l'avesse capito, mi auguro un campionato avvincente, ricco di gol e colpi di scena. E pronostico il Cesena come rivelazione stagionale.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
mercoledì 7 settembre 2011
Calcio d'angolo - Prandelli, ottimo lavoro!

Con sensibile ritardo, s'inizia a sentire profumo di Serie A. Milan-Lazio, che darà - finalmente - il via al campionato, è alle porte, ma una prima gioia a noi calciofili l'ha già regalata l'Italia di Cesare Prandelli: qualificatasi per l'Europeo polacco-ucraino con due turni d'anticipo, come mai era accaduto prima d'ora, e subendo per giunta un solo gol (all'esordio in Estonia, di lì in poi porta inviolata). All'estero c'è chi, troppo buono, ci dà per favoriti, ma al nostro cittì va riconosciuto di essere riuscito nel proprio intento: in tredici mesi trascorsi sulla panchina azzurra, ha cambiato il volto di una squadra reduce dalla magrissima figura sudafricana.
Perché tredici mesi appena sono trascorsi da quando, il 10 agosto 2010, un'Italia impaurita veniva castigata a Londra dalla Costa d'Avorio. Poi il balbettante esordio contro l'Estonia, ed un lento ma sin qui soddisfacente processo di «catalanizzazione», perché il C.T. non vuol sentir parlare del Barcellona invincibile di Guardiola. E fa bene: Xavi, Iniesta, Piqué e Messi ce li hanno solo loro, ma noi - accontentandoci di un materiale umano raramente così povero nella nostra gloriosa storia calcistica - abbiamo imparato a far circolare il pallone, spedendo gli incontristi in panchina, scambiandoci di ruolo a centrocampo e rinunciando alla classico centravanti, quello in grado di far salire la squadra, per dar fiducia allo sgusciante duo composto da Rossi e Cassano. Certo, ieri la partita l'ha decisa Pazzini, che però è entrato in campo per dettare la profondità, mica fare la boa.
Per chiudere, è opportuno snocciolare qualche cifra. Il biglietto per quest'Europeo, innanzitutto, l'abbiamo staccato nell'unico girone in cui erano presenti tre squadre reduci dal Sudafrica. In che modo? Segnando 16 gol, subendone uno appena, qualificandoci con due turni d'anticipo (come la Spagna, campione di tutto) e mantenendo la rete immacolata per ben 7 partite, per giunta consecutive. Forza Italia, continua così, e chissà che chi ci ha indicato come favoriti anziché troppo buono fosse semplicemente realista.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
mercoledì 31 agosto 2011
Calcio d'angolo - Il calcio del Barcellona: concetto, non modulo

Che i moduli, nel gioco del calcio, non contassero poi moltissimo, credo fosse evidente a tutti. Certo, alcuni integralisti del 4-3-3, maniaci del 4-4-2 e fanatici del 3-4-3 sono ancora a piede libero e popolano le panchine di mezzo mondo, ma quanto accaduto ieri sera al Camp Nou - Barcellona-Villarreal, 5 a 0 - si può tranquillamente equiparare alla celebre «bi-zona» di Canà. Ma se il 5-5-5 della Longobarda prevedeva l'utilizzo di cinque attaccanti ed altrettanti difensori, quello che sul campo pare anch'esso un 5-5-5 messo in pratica da Guardiola si basa sostanzialmente su di una decina di centrocampisti. Anche se contro Giuseppe Rossi - pagherei di tasca mia pur di rivederlo in Italia - ne sono stati impiegati «appena» otto.
Tra il serio ed il faceto, ecco spiegato come nei pressi della Sagrada Família il calcio sia solo ed esclusivamente un concetto, mai e poi mai un modulo. Perché il 3-4-3, balbuziente omaggio al Dream Team di Cruijff secondo alcuni, altro non è che uno specchietto per le allodole. Privo di cinque difensori, Daniel Alves, Maxwell, Adriano, Puyol e Piqué, Guardiola ha conservato il tridente (composto da Sánchez, Messi e Pedro) e consentito a Víctor Valdés di eguagliare Andoni Zubizarreta per numero d'incontri (410) trascorsi a difesa dei pali del Barça, poi ecco Abidal e sei centrocampisti dal primo minuto: Mascherano, Busquets ed i loro piedi poco educati retrocessi in difesa, con Keita presunto interdittore, Thiago Alcántara ed Iniesta mezze ali e Fàbregas vertice alto del rombo. E visto che La Masía gli ha regalato, ad un decennio di distanza l'uno dall'altro, anche Xavi e Jonathan dos Santos, ecco scendere in campo anche loro nella ripresa. Centrocampisti utilizzati in totale: 8.
Di ribadire il risultato dell'incontro e la caratura di un avversario che anche quest'anno disputerà la Champions League, non mi pare il caso. Ma di elogiare nuovamente, per quest'ennesima ragione, Guardiola e la sua straordinaria squadra, sì.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
venerdì 26 agosto 2011
Calcio d'angolo - Io sto con Luis Enrique

Luis Enrique ha commesso un grave, gravissimo errore. Sostituire Totti contro lo Slovan Bratislava? No, scegliere l'Italia per mettere in pratica il proprio - intrigante - progetto di calcio. Basato, manco a dirlo, sui sacri dettami della scuola blaugrana: palla a pelo d'erba, due tocchi al massimo, tanto movimento, il tutto teoricamente eseguibile anche da individui non ancora abilitati alla conduzione dell'automobile per ragioni anagrafiche. Teoricamente. Perché il povero Luis, gettando nella mischia Verre ('94) e Caprari ('93) - che pure non hanno sfigurato, anzi - oltre al più esperto Viviani (classe 1992, come ricorda il suo numero di maglia) si è guadagnato il disprezzo dell'intera Italia pallonara. Quella incapace di comprendere come Totti non sia eterno, e se Luis Enrique - dalle cui parti non fa niente se ti chiami Ronaldinho o Henry, perché c'è sempre un imberbe di nome Messi o Pedro pronto a rubarti il posto - prova a spiegarglielo, fanno orecchie da mercante e rincarano la dose di veleno indirizzata nei suoi confronti.
E così il diesse Walter Sabatini, tra un acquisto - più o meno opinabile: la crescita di Kjær e Osvaldo pareva essersi interrotta una volta varcati i nostri confini, staremo a vedere cosa combineranno - e l'altro, si ritrova a riconfermarlo prudentemente: non è un buon segno. L'evidente rottura con la piazza, e quella facilmente intuibile con il capitano, va risanata alla svelta: lo sciopero è ciò che fa al caso suo, anche se potrebbe rivelarsi un pericolosissimo boomerang, perché l'assenza di un'occasione per riscattare la sanguinosa eliminazione dall'Europa League potrebbe - nella peggiore delle ipotesi - costare la panchina a Luis Enrique ancor prima dell'inizio della stagione.
Se davvero le cose andassero così, o comunque al tecnico spagnolo non venisse concesso di attuare il proprio progetto, la Roma commetterebbe - a mio parere - un mastodontico errore. A giudicare dalle prime uscite, la squadra esprime un calcio gradevole, seppur con le seconde linee, e con un pizzico di cattiveria in più davanti al portiere avversario - vero, Bojan? - a quest'ora credo proprio che staremmo tutti celebrando la frizzante rimonta della nuova, giovanissima Roma. Che, con il vivaio che si ritrova - tra i più produttivi della penisola, campione in carica del Campionato Primavera - potrebbe, o forse avrebbe potuto, rivelarsi l'habitat ideale per quest'allenatore e le sue innovazioni.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
martedì 23 agosto 2011
Calcio d'angolo - La qualificazione dell'Udinese: bisogna rubare le caramelle ai bambini

L'1-0 partorito dall'andata londinese è tanto bugiardo quanto ribaltabile, per quest'Udinese. Perché Guidolin, in barba alle cessioni di Zapata, Inler e Sánchez è riuscito - come prevedibile - ad assemblare un undici di tutto rispetto, ma soprattutto perché dell'Arsenal rimane ormai poco o nulla. Definitivamente seppellita la squadra degli «Invincibili», quelli capaci di trionfare in Premier League nel 2003-04 senza conoscere l'onta della sconfitta, con la cessione di Kolo Touré al Manchester City nel 2009, e passando per i tanti «saranno famosi» transitati di recente all'Emirates, rimane ora a disposizione dello squalificato Wenger una squadra che alle nostre latitudini disputerebbe - senza dubbio con ottimi risultati - il Campionato Primavera.
Contro il rivoluzionato Liverpool - che, a proposito, m'intriga moltissimo - in campo è scesa una banda di sbarbati: il solo Arshavin aveva già soffiato su trenta candeline tutte in una volta, e la quantità di neomaggiorenni in campo era - per la concezione calcistica italiana - oltremodo preoccupante. Jenkinson, Frimpong e Miquel sono venuti al mondo nel 1992, due anni più tardi di Ramsey, Lansbury e Szczęsny. Tutti assieme in campo, facevano sembrare Walcott (classe '89) un campione attempato. Di Nasri, nato a Marsiglia il 26 giugno 1987, meglio non parlare: non perché troppo vecchio, ma perché sedotto dai petrodollari del City e destinato a non giocare la gara di ritorno.
L'occasione è ghiotta, per un'Udinese che - una volta tanto - sarà la squadra con l'età media più alta: stavolta, toccherà ai friulani rubare le caramelle ai bambini dell'Arsenal, ma non è detto che si tratti di un'impresa semplice.
mercoledì 10 agosto 2011
Calcio d'angolo - Grande calcio a Machačkala
Rifiutare 60 milioni di euro - netti - per prendere a calci un pallone è parecchio difficile, anche se hai visto la luce in Camerun e magari l'idea di trasformarti in ghiacciolo a Machačkala dopo aver assaggiato il tepore di Madrid, Maiorca e Barcellona non ti entusiasma particolarmente. Per questa ragione, Samuel Eto'o firmerà un fantasmagorico triennale con l'Anži. E dato che molto probabilmente, da qui al 31 agosto, verrà emulato da Sneijder - che andrà a Manchester: United o City? - ecco i consueti fiumi d'inchiostro dilapidati per ricordarci come il nostro calcio sia diventato misero e un'Inter che poco più di un anno fa vinceva tutto ma proprio tutto ne sia il perfetto emblema.
Be', forse è il caso di cambiare argomento, ed andare a scoprire cosa stanno combinando in Daghestan. Circa 50.000 chilometri quadrati, al confine con Georgia e Cecenia, bagnato dal Mar Caspio, qui è nato - a Derbent, nel 1966 - Sulejman Kerimov. Quest'uomo, da poco divenuto presidente dell'Anži, vanta un patrimonio di 7,8 bilioni di dollari, e ciò fa di lui - secondo la rivista Forbes - il 118esimo uomo più ricco del pianeta. Di questi 7,8 bilioni - «bi», non «mi» - ha deciso d'investirne nel calcio qualche briciola, sufficiente comunque per allestire una squadra sin da subito competitiva per il titolo di campione di Russia, visto e considerato che la stagione in corso sarà di una lunghezza sconcertante al fine di mettersi in pari con i maggiori campionati europei.
Gadzhi Gadzhiev, classe '45, in panchina da un'eternità, si ritrova tra le mani del materiale umano di primissimo ordine. E se i primi acquisti, leggasi un Roberto Carlos riciclatosi regista, parevano buoni solo per le risate del calcio d'Occidente, con l'andare del mercato si sono resi tutti conto - Inter in primis - che l'Anži fa sul serio. Certo, Eliakwu, che in Italia ricordiamo a Trieste e La Spezia, e qualcuno anche a Gallipoli e Varese, gioca - poco - proprio lì, ma i suoi compagni di squadra rispondono al nome di Jucilei e Diego Tardelli. Brasiliani a rischio saudade, obietteranno in molti, ma a loro si sono aggiunti nelle ultime settimane delle assolute certezze. Boussoufa, scippato al Terek Grozny, è stata la prima, seguito a ruota da Dzsudzsák e Zhirkov. Il prossimo, a meno di clamorose soprese, dovrebbe essere Eto'o.