martedì 9 febbraio 2010

Da Orsi a Camoranesi, la lunga storia degli oriundi



Che Mauro Germán Camoranesi, pur essendo nato a Tandil (180 km da Buenos Aires, mica da Roma), abbia alzato al cielo la Coppa del Mondo con indosso la maglia azzurra lo sappiamo tutti. È un oriundo, gioca nella Nazionale italiana in virtù di un bisnonno partito da Potenza Picena (Macerata) sul finire dell'Ottocento; l'azzurro lo ha assaporato per la prima volta il 12 febbraio 2003, in un Italia-Portogallo 1-0 deciso dall'allora laziale Bernardo Corradi: grazie Trap. Fu, infatti, il tecnico di Cusano Milanino a riproporre un oriundo in azzurro quarant'anni dopo l'ultima partita del suo ex compagno di spogliatoio (dal 1965 al '70) Angelo Sormani.
Oltre ad essere quello con più presenze, Camoranesi è diventato il settimo oriundo a vincere la Coppa del Mondo con l'Italia: prima di lui c'erano riusciti Anfilogino Guarisi, Attilio Demaria, Enrique Guaita, Luis Monti, Raimundo Orsi e Michele Andreolo sotto la guida tecnica di Vittorio Pozzo, nel '34 e nel '38. Tutti loro hanno scritto delle importanti pagine nella storia non solo della nazionale, ma anche dei rispettivi club: Guaita, ad esempio, con i suoi 29 gol nel 1934-35 detiene tutt'ora il record di segnature per i campionati a sedici squadre. Non solo gol, per il «Corsaro Nero» della Roma: temendo una chiamata alle armi per la Guerra d'Etiopia, il 19 settembre 1935, assieme ai compatrioti Stagnaro e Scopelli, partì alla volta dell'Argentina. Accusati di traffico di valuta, il ritorno in Italia gli fu impedito anche nel dopoguerra. Morì a soli 49 anni, povero e solo, dopo aver perso il posto di direttore del penitenziario di Bahia Blanca.
Tra gli eroi del Mondiale '34 non si può non citare Luisito Monti, l'unico calciatore nella storia ad aver disputato due finali mondiali con due casacche diverse: «albiceleste» nel 1930, azzurra quattro anni dopo. Ciò dipese dalle lacunose normative Fifa, che al tempo consentivano ad un giocatore di giocare con più d'una nazionale: emblematico il caso di Alfredo Di Stefano, che giocò con Argentina, Colombia e Spagna, senza però mai prender parte ad un Mondiale. Andreolo, uruguagio di nascita, contribuì al successo iridato del '38. Quattro volte campione d'Italia con il Bologna, fece meglio con la propria squadra di club che con la nazionale azzurra, come anche Guarisi (137 partite e 43 gol con la Lazio) e Demaria (quasi 300 partite con la maglia dell'Inter, corredate da 85 reti).
Il più forte fu probabilmente Raimundo Orsi, per tutti «Mumo». Formidabile ala sinistra, dal 1928 al 1935 alla Juventus, nella finale del 1934 rispose al gol del cecoslovacco Puč a 9' dalla fine, prolungando il match ai supplementari, durante i quali Schiavio segnò il gol-vittoria. Non solo campioni del mondo però: sono molti i campioni che, spesso solo per qualche partita, hanno vestito la maglia azzurra. Fuoriclasse, come Schiaffino (4 partite da '54 e '58), Sivori (2 partite ai Mondiali del '62) e Altafini, anch'egli azzurro nella sfortunata spedizione cilena del 1963. Poi Ghiggia (il Maracanaço è opera sua), Cesarini (sì, proprio quello della famosa «zona»), Sallustro (il primo idolo della Napoli pallonara), il «Petisso» Pesaola, Montuori («10« della Fiorentina scudettata nel '56), Dino Da Costa (11 gol nel derby di Roma, record), Libonatti (10 anni e 150 gol con il Toro) e «testina d'oro» Puricelli (campione d'Italia con annesso titolo di capocannoniere nel '39 e nel '41).

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

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