sabato 5 giugno 2010

Quando espugnammo Wembley col cittì dell'Inghilterra



Fabio Capello, oggi, è il commissario tecnico dell'Inghilterra, cui si è legato fino al 2012 rifiutando le lusinghe dell'Inter. L'imminente rassegna iridata gli offre l'opportunità di rendere ancor più prestigiosa l'incisione recante il suo nome, già ben impresso nella storia del calcio, e lui si lascia scappare un sogno fino a poco prima sapientemente riposto nel cassetto: una finale contro l'Italia, per l'attuale cittì inglese, sarebbe il massimo.
Eppure Fabio Capello, l'altroieri quando indossava i calzoncini e giocava mezzala nella Juventus, la sfida angloitaliana la sognava in modo diverso: lui in campo, innanzitutto, e l'Italia tutta in festa e non in lutto al termine delle ostilità. A volte, poi, i sogni prendono vita e vanno in scena sul campo di calcio. In quest'occasione, l'ambientazione è delle più suggestive: lo stadio di Wembley, intriso d'acqua, brumoso e colmo fino all'orlo di gente in delirio. Anche la data, in questo caso, riveste un'importanza non trascurabile: si gioca il 14 novembre del 1973, trentanovesimo anniversario della leggendaria Battaglia di Highbury.
La partita trascorre seguendo il più classico dei copioni, quello che prevede l'Italia arroccata in difesa ma sempre pronta a ripartire in contropiede: Burgnich, Facchetti e Spinosi difendono l'imbaittibilità di Zoff, ormai prossima ai mille minuti, mentre Benetti legna a centrocampo senza premura alcuna per le giunture inglesi. Persino Riva dà una mano in copertura, spendendosi come di consueto per la causa azzurra cui ha già immolato entrambi i peroni, mentre gli inglesi ci sbeffeggiano, fieri del loro evidente ma sterile dominio territoriale: «Cammarieri, cammarieri!», ci gridano dagli spalti.
Questo inopportuno appellativo finisce con l'urtare i nervi di chi il «cammariere» l'ha fatto per davvero: Giorgio Chinaglia, all'occorrenza anche lavapiatti per il «Mario's Bamboo Restaurant», trattoria aperta da suo padre dopo anni di sacrifici e lavoro in fonderia. Lui, che sta guidando la Lazio al primo scudetto a suon di gol ed alla fine sarà pure capocannoniere del campionato, è orgoglioso di aver fatto il «cammariere»: quell'esperienza è come una medaglia al valore, una delle tante per «Long John», partito alla volta del Galles ad appena sei anni per raggiungere papà Mario e mamma Giovanna con al collo un cartello recante l'indirizzo di casa nel caso in cui si fosse perso. La voglia di rivalsa gli dà la spinta giusta per seminare McFarland e scaricare un destro da posizione angolatissima su cui Shilton nulla può: respinta corta, arriva Capello e, dopo aver dato il via all'azione, la conclude signorilmente con un destro sottomisura che va a morire in porta quando mancano appena tre minuti al fischio finale del portoghese Marques Lobo.
Proprio Fabio Capello, cresciuto nel mito di Oscar Massei ed appassionato d'arte e di Tolstoj, aveva appena messo dentro la palla del primo successo azzurro in terra d'Albione. Dovesse essere tra i protagonisti di una nuova sconfitta inglese in territorio anglofono, ovviamente per mano dell'Italia e magari nella tanto agognata finale, difficilmente darebbe adito a malumori nel Belpaese.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

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