Non sarà mai GasperInter. Il sentore, niente affatto vago, che l'allenatore nerazzurro - fino a quando? - fosse un uomo morto che anziché camminare siede in panchina, lo si era avuto sin dal giorno (24 giugno, per la cronaca) in cui l'interminabile serie di «no, grazie» incassata da Moratti lo aveva portato ad apporre la propria firma sul contratto. Che, andando avanti di questo passo, finirà per venire stracciato con discreto anticipo sulla data di scadenza.
«Sei partite, sette al massimo», fu la timida richiesta dello spaesato Gasperini, inizialmente illusosi di poter plasmare l'Inter a propria immagine e somiglianza. Siamo a metà strada, 270 minuti di gioco, ed i risultati sono equivalenti al numero di punti conquistati: zero. I dubbi, invece, aumentano di ora in ora, specialmente dopo l'inammissibile sconfitta casalinga rimediata contro il Trabzonspor (in gol Ondřej Čelůstka, un quarto d'ora di Serie A con il Palermo).
La partita con un'annaspante Roma, nell'anticipo notturno del sabato, fugherà ogni dubbio, mettendo forse in fuga Gasperson (così chiamato a Genova, sui Navigli ancora non hanno capito perché). In questo derby tra pericolanti, perché neppure il dirimpettaio Luis Enrique ha mai assaporato la vittoria sulla panchina giallorossa, dovrà però necessariamente saltar fuori di che pasta è fatto Gasperini: integralista no di certo, l'ha detto e dimostrato assecondando il presidente e presentandosi in Champions League con il quartetto difensivo, ma - esonerato per esonerato - che almeno si faccia mandar via pensando con la propria testa. Via di 3-4-3, con buona pace di Sneijder, anch'egli assecondato dopo un quarto d'ora di sgradito vagabondaggio sulla fascia sinistra contro i mediocri turchi, e spazio alle idee che avevano reso il suo Genoa la squadra più divertente d'Italia. Perché, in fin dei conti, è meglio avere rimorsi che rimpianti.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
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