Prima di Pelé e dopo di Friedenreich, Leônidas da Silva. «Diamante Negro», così lo chiamavano, e c'è chi gli ha addirittura intitolato una prelibata (a detta di chi ha avuto la fortuna di assaggiarla) tavoletta di cioccolata assai in voga tra i «meninos» brasiliani. La leggenda narrà che fu lui, il 24 aprile del 1932, a portare la rovesciata in Brasile, in un 5 a 2 del suo Bonsuccesso sul Carioca. Lui indossava la maglia dei «rubro-anil» padroni di casa, che lo convinsero ad abbandonare il Sírio Libanês e la pallacanestro - nonostante fosse alto appena 173 cm, il ragazzo sapeva farsi valere anche in questa disciplina - con un'offerta da leccarsi le orecchie - per l'epoca, s'intende - consistente in due vestiti ed altrettanti paia di scarpe e guanti.
Leônidas, nato a Rio da Donna Maria e Manoel Nunes da Silva, era cresciuto sulle spiagge di São Cristovão, il suo quartiere. Tifava Fluminense, ma il «Tricolor Carioca» fu l'unica squadra di Rio de Janeiro a non poter godere delle sue prodezze, vista la renitenza del club all'impiego di giocatori di colore. Dopo gli inizi nel Fonseca Lima, ecco il passaggio al São Cristovão, quindi un via vai tra Havanesa, Barroso e Sul Americano, prima di approdare al già menzionato Sírio Libanês. Quindi il passaggio al Bonsuccesso, con cui fu convocato per la prima volta in Nazionale nel 1932, ad appena 19 anni. Esordì contro l'Uruguay, e pur essendo entrato in campo solo nella ripresa, trovò il modo di bagnare con due gol il debutto in nazionale. Proprio con la Seleção, Leônidas ha scritto alcune memorabili pagine della carriera. Certamente quelle più famose nel Vecchio Continente, visto che il «Diamante Nero» lasciò il Brasile in una sola occasione, nel 1933 per giocare nel Peñarol. Partecipò a due mondiali con l'«Amarelinha»: nel '34 fu un fallimento, con il Brasile eliminato agli ottavi dalla Spagna nonostante un gol segnato proprio da Leônidas; al Mondiale del 1938, invece, sono legate le sue più grandi imprese con la maglia della Seleção (21 gol in 19 partite il suo score in nazionale).Nella torneo disputato in Francia vinse il titolo di capocannoniere ed arrivò terzo siglando due reti nella finalina contro la Svezia, battuta 4-2.
Proprio alla rassegna iridata del 1938 sono legati due aneddoti, ricoperti da un'aura di leggenda. Il primo risale agli ottavi di finale, disputati contro la Polonia: il 5 giugno, a Strasburgo, il cielo è limpido ed il Brasile si diverte. Poi il diluvio, ed i polacchi, ben più avvezzi alle ostili condizioni climatiche, annullano il doppio vantaggio avversario grazie all'armadio biondo Willimowski, in gol per ben quattro volte in quella partita. I brasiliani, per ovviare alle difficoltà causate dalla metamorfosi del campo in palude, scelgono di togliersi le scarpe a dispetto dei dettami dell'arbitro Eklind. E proprio a piedi nudi, come sulle spiagge di Rio, Leônidas mette a segno il terzo gol personale, quello che significa vittoria. Quando l'arbitro svedese gli chiede di mostrargli i piedi, per verificare se il fenomeno in maglia bianca (la «camiseta auriverde» arriverà solo dopo il Maracanaço) indossi o meno gli scarpini; lui, in tutta risposta, infila i piedi nel fango, impedendo all'arbitro di effettuare la verifica e costringendolo pertanto a convalidare la marcatura, decisiva ai fini del risultato. Contro la Cecoslovacchia, nei quarti, sono necessarie due partite per decretare il vincitore: dopo l'1-1 nel primo incontro, Leônidas risulta decisivo nella ripetizione del match. Il «Diamante Negro», però, è l'unico giocatore di movimento a scendere in campo in entrambe le partite, ed il tanto biasimato tecnico Ademar Pimenta sceglie di concedergli un turno di riposo nella semifinale con l'Italia, mestamente persa dal presuntuoso Brasile: avevano già prenotato i biglietti aerei per la finale di Parigi.
Leônidas vincerà ancora in patria con le maglie di Vasco e San Paolo, prima di spegnersi nel gennaio del 2004 a Cotia, nello stato di San Paolo, dopo un lungo calvario dovuto al morbo di Alzheimer. È sepolto nel Cemitério Morada da Paz.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
Leônidas, nato a Rio da Donna Maria e Manoel Nunes da Silva, era cresciuto sulle spiagge di São Cristovão, il suo quartiere. Tifava Fluminense, ma il «Tricolor Carioca» fu l'unica squadra di Rio de Janeiro a non poter godere delle sue prodezze, vista la renitenza del club all'impiego di giocatori di colore. Dopo gli inizi nel Fonseca Lima, ecco il passaggio al São Cristovão, quindi un via vai tra Havanesa, Barroso e Sul Americano, prima di approdare al già menzionato Sírio Libanês. Quindi il passaggio al Bonsuccesso, con cui fu convocato per la prima volta in Nazionale nel 1932, ad appena 19 anni. Esordì contro l'Uruguay, e pur essendo entrato in campo solo nella ripresa, trovò il modo di bagnare con due gol il debutto in nazionale. Proprio con la Seleção, Leônidas ha scritto alcune memorabili pagine della carriera. Certamente quelle più famose nel Vecchio Continente, visto che il «Diamante Nero» lasciò il Brasile in una sola occasione, nel 1933 per giocare nel Peñarol. Partecipò a due mondiali con l'«Amarelinha»: nel '34 fu un fallimento, con il Brasile eliminato agli ottavi dalla Spagna nonostante un gol segnato proprio da Leônidas; al Mondiale del 1938, invece, sono legate le sue più grandi imprese con la maglia della Seleção (21 gol in 19 partite il suo score in nazionale).Nella torneo disputato in Francia vinse il titolo di capocannoniere ed arrivò terzo siglando due reti nella finalina contro la Svezia, battuta 4-2.
Proprio alla rassegna iridata del 1938 sono legati due aneddoti, ricoperti da un'aura di leggenda. Il primo risale agli ottavi di finale, disputati contro la Polonia: il 5 giugno, a Strasburgo, il cielo è limpido ed il Brasile si diverte. Poi il diluvio, ed i polacchi, ben più avvezzi alle ostili condizioni climatiche, annullano il doppio vantaggio avversario grazie all'armadio biondo Willimowski, in gol per ben quattro volte in quella partita. I brasiliani, per ovviare alle difficoltà causate dalla metamorfosi del campo in palude, scelgono di togliersi le scarpe a dispetto dei dettami dell'arbitro Eklind. E proprio a piedi nudi, come sulle spiagge di Rio, Leônidas mette a segno il terzo gol personale, quello che significa vittoria. Quando l'arbitro svedese gli chiede di mostrargli i piedi, per verificare se il fenomeno in maglia bianca (la «camiseta auriverde» arriverà solo dopo il Maracanaço) indossi o meno gli scarpini; lui, in tutta risposta, infila i piedi nel fango, impedendo all'arbitro di effettuare la verifica e costringendolo pertanto a convalidare la marcatura, decisiva ai fini del risultato. Contro la Cecoslovacchia, nei quarti, sono necessarie due partite per decretare il vincitore: dopo l'1-1 nel primo incontro, Leônidas risulta decisivo nella ripetizione del match. Il «Diamante Negro», però, è l'unico giocatore di movimento a scendere in campo in entrambe le partite, ed il tanto biasimato tecnico Ademar Pimenta sceglie di concedergli un turno di riposo nella semifinale con l'Italia, mestamente persa dal presuntuoso Brasile: avevano già prenotato i biglietti aerei per la finale di Parigi.
Leônidas vincerà ancora in patria con le maglie di Vasco e San Paolo, prima di spegnersi nel gennaio del 2004 a Cotia, nello stato di San Paolo, dopo un lungo calvario dovuto al morbo di Alzheimer. È sepolto nel Cemitério Morada da Paz.
Antonio Giusto
Fonte: Goal.com
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