Dopo 380 partite e parecchie emozioni, è giunta al termine la Serie A 2008-09. Sul gradino più alto del podio, manco a dirlo, l’Inter. Per i nerazzurri si tratta del 17° «titulo», per dirla alla Mourinho, il quarto consecutivo. Gli uomini dello «Special One», spesso più «special» in conferenza stampa che in panchina, dopo aver illuso il Milan che l’acquisto di Ronaldinho, decisivo nel derby ed in poche altre occasioni, fosse sufficiente per stravolgere le gerarchie, si sono presi la vetta della classifica all’11ª giornata per non mollarla più. Di lì in poi i gol e le invenzioni di Ibra, le miracolose parate del nuovo miglior «goleiro» del pianeta Julio Cesar, l’interdizione di Cambiasso, le sgroppate di Maicon e Santon, i colpi di testa (in tutti i sensi) di Balotelli, le corse a perdifiato di capitan Zanetti, hanno permesso all’Inter di cucirsi in scioltezza il tricolore sul petto.
Dietro lo schiacciasassi tinto di nero e blu, a darsi battaglia per il secondo posto ci sono state Juventus e Milan, entrambe partite con ambizioni di titolo ben presto ridimensionate dal divario, apparso incolmabile, con l’Inter. La vecchia Signora, cui i tifosi chiedevano troppo, assecondati da una dirigenza che a molti fa rimpiangere la Triade, ha pagato l’ennesima deludente campagna acquisti (bene, a tratti, i soli Amauri e Manninger) ed un’incredibile sfilza di infortuni. La campagna contro Ranieri, poi, ha portato addirittura alla cacciata del tecnico romano a due soli turni dal termine, e l’insediamento in panchina di Ferrara pare dettato più da Lippi che non dagl’inesperti dirigenti, spesso oggetto di dure critiche da parte di stampa e tifoseria. Come la Juve, anche il Milan ha sofferto numerosi infortuni, su tutti quello di Kaká, giunto in una fase cruciale della stagione. Il cospicuo numero di sinistri non è però sufficiente a giustificare il Diavolo, apparso ancora troppo incostante, cui l’avvicendamento di Ancelotti con Leonardo potrebbe e, soprattutto, dovrebbe, portare una mentalità adatta al successo in campionato, che manca ai rossoneri da ormai cinque stagioni.
Alle spalle delle tre «big», ancora la Fiorentina, per la quarta stagione in zona Champions, la seconda effettiva. I viola, guidati in panchina dall’ottimo Prandelli, hanno mal tollerato la partenza anticipata dovuti ai preliminari, salvo poi rimediare con un gran finale alle défaillances invernali. A braccetto con la Fiorentina, ma condannati all’Europa League dalla partitissima di Mutu del 15 febbraio, quando il romeno rimontò il 3-0 del Grifone in mezz’ora portando sul 3-3 i suoi con una clamorosa tripletta, il Genoa, comunque la sorpresa più piacevole della stagione. Determinante per la magnifica stagione rossoblu la guida tecnica di Gasperini abbinata alle doti di una squadra in cui spiccano di nomi altisonanti di Thiago Motta e Milito, promessi all’Inter, ma per il cui perfetto funzionamento è stato necessario l’operato di coloro che alcuni, a torto, definiscono «comprimari»: Sculli è un Kuyt dei poveri, Ferrari un leader ritrovato, Crìscito un mancino poliedrico, Bocchetti una promessa mantenuta giunta fino alla convocazione in Nazionale.
Male, invece, la Roma. Per due anni seconda forza del campionato, i giallorossi hanno pagato i troppi infortuni e, soprattutto, una sessione estiva di calciomercato che ha portato nella capitale giocatori inadatti alla causa giallorossa: Riise, Menez e Julio Baptista hanno raramente dato sfoggio delle proprie doti, spesso tenute nascoste. Da qui il sesto posto che costringerà i giallorossi a disputare l’Europa League, con conseguente ridimensionamento. Ed in Europa League, con i giallorossi, ci saranno anche i cugini laziali, abili a mettere in bacheca la Coppa Italia.
Comprese tra Roma e Lazio in classifica si trovano tre gradite sorprese, dovute all’ottimo operato degli allenatori: Udinese, Palermo e Cagliari. I friulani, dopo un avvio sorprendente, che li aveva addirittura visti in vetta alla classfica, hanno poi subito un prolungato black out che per poco non li ha fatti sprofondare in zona retrocessione, zona retrocessione da cui il Cagliari sembrava essere destinato a non uscire fino a termine campionato dopo il kappaò subito a Lecce nel quinto turno, dopo il quale i sardi si trovavano ancora a quota zero punti in classifica. Dopo il pari con il Milan della settimana successiva è scattata la scintilla che ha permesso ad Allegri ed i suoi uomini di risollevarsi fino a permettersi di sognare un posto in Europa. E proprio l’Europa era l’obiettivo di Ballardini, non di Zamparini però, che, insoddisfatto, ha deciso di dare il benservito al tecnico che con il suo spumeggiante 4-3-1-2 ha dato un – bel – gioco ad i rosanero, purtroppo insufficiente per convincere il vulcanico presidente a riconfermarlo.
Salvezze tranquille per Atalanta, Napoli e Sampdoria, ma se per gli orobici si è trattato di una stagione fruttuosa, in cui spiccano i successi su Inter e Roma, Samp e soprattutto Napoli hanno deluso le attese. I blucerchiati hanno pagato a caro prezzo l’assenza di un centravanti vero nella prima parte di stagione, salvo poi allontanarsi dalla zona pericolosa con l’acquisto di Pazzini, implacabile nel 2009 (11 reti, molte delle quali ispirate da Cassano) dopo un finale di 2008 trascorso alle spalle di Gilardino. I partenopei possono parzialmente giustificare un girone di ritorno da incubo (appena 13 i punti conquistati, 20 in meno dell’andata) con la preparazione estiva anticipata a causa dell’Intertoto. Il cambio di allenatore, poi, non ha particolarmente giovato.
Tornando in tema allenatori, numerose salvezze sono dovute proprio alla mano dei tecnici: Siena, Catania e soprattutto Chievo potrebbero essere intenti a programmare la prossima stagione in cadetteria, se non fosse per Giampaolo, Zenga e Di Carlo. E proprio da Mimmo Di Carlo vale la pena di iniziare, perché l’ex centrocampista vicentino ha rivitalizzato i gialloblu, passati dal disastroso rendimento avuto con Iachini ad passo «europeo». Sulla panchina catanese anche Zenga ha sorpreso, con i suoi metodi innovativi ed il bel gioco espresso, come Giampaolo, abile nel plasmare la propria creatura in maniera da conferirle solidità ed armonia.
A differenza delle tre squadre sopraccitate, la salvezza del Bologna dipende ben poco dalla guida tecnica, anzi, è praticamente opera di un sol uomo, il redivivo Marco Di Vaio, ritornato con successo inatteso al ruolo di centravanti. Bottino di tutto rispetto, 24 gol, quanti Milito ed uno in meno del capocannoniere Ibrahimovic.
Retrocedono invece in B Lecce e Reggina, non all’altezza della massima serie. A fargli compagnia ci sarà il Toro, che fa ritorno nella serie cadetta dopo tre – travagliate – stagioni in A.
Detto delle squadre, ora tocca alle individualità. Tra le sorprese, impossibile non citare il giovanissimo e duttile Santon, il potente Asamoah, l’ossigenato danese Kjær ed i già noti al sottoscritto Zárate, Zuñiga e Jovetic. Menzioni anche per il goleador Marilungo, il fresco azzurro Esposito, il difensore senese Brandão ed il portiere atalantino Consigli. Non vanno però dimenticate le splendide stagioni disputate da Thiago Motta, finalmente a proprio agio dal punto di vista fisico, di Gaetano D’Agostino, eccelso regista dell’Udinese, e del già citato Di Vaio, di nuovo prima punta e di nuovo protagonista. Tra i flop, il più fragoroso è indubbiamente quello di Quaresma, la cui trivela non ha riscosso successo nella Penisola. Come lui, male Mancini e Carrizo, malissimo Shevchenko, Poulsen e Datolo.
Per chiudere, un applauso a tre grandissimi, ormai divenuti degli ex. Inutile dilungarsi nelle celebrazioni, per esprimere quanto fatto da Maldini, Figo e Nedved sul campo di gioco basta accennare ai loro palmares: 2 Palloni d’oro, 6 Coppe dei Campioni/Champions League, 20 campionati nazionali. Addio Paolo, Luis e Pavel, e grazie di tutto.
Dietro lo schiacciasassi tinto di nero e blu, a darsi battaglia per il secondo posto ci sono state Juventus e Milan, entrambe partite con ambizioni di titolo ben presto ridimensionate dal divario, apparso incolmabile, con l’Inter. La vecchia Signora, cui i tifosi chiedevano troppo, assecondati da una dirigenza che a molti fa rimpiangere la Triade, ha pagato l’ennesima deludente campagna acquisti (bene, a tratti, i soli Amauri e Manninger) ed un’incredibile sfilza di infortuni. La campagna contro Ranieri, poi, ha portato addirittura alla cacciata del tecnico romano a due soli turni dal termine, e l’insediamento in panchina di Ferrara pare dettato più da Lippi che non dagl’inesperti dirigenti, spesso oggetto di dure critiche da parte di stampa e tifoseria. Come la Juve, anche il Milan ha sofferto numerosi infortuni, su tutti quello di Kaká, giunto in una fase cruciale della stagione. Il cospicuo numero di sinistri non è però sufficiente a giustificare il Diavolo, apparso ancora troppo incostante, cui l’avvicendamento di Ancelotti con Leonardo potrebbe e, soprattutto, dovrebbe, portare una mentalità adatta al successo in campionato, che manca ai rossoneri da ormai cinque stagioni.
Alle spalle delle tre «big», ancora la Fiorentina, per la quarta stagione in zona Champions, la seconda effettiva. I viola, guidati in panchina dall’ottimo Prandelli, hanno mal tollerato la partenza anticipata dovuti ai preliminari, salvo poi rimediare con un gran finale alle défaillances invernali. A braccetto con la Fiorentina, ma condannati all’Europa League dalla partitissima di Mutu del 15 febbraio, quando il romeno rimontò il 3-0 del Grifone in mezz’ora portando sul 3-3 i suoi con una clamorosa tripletta, il Genoa, comunque la sorpresa più piacevole della stagione. Determinante per la magnifica stagione rossoblu la guida tecnica di Gasperini abbinata alle doti di una squadra in cui spiccano di nomi altisonanti di Thiago Motta e Milito, promessi all’Inter, ma per il cui perfetto funzionamento è stato necessario l’operato di coloro che alcuni, a torto, definiscono «comprimari»: Sculli è un Kuyt dei poveri, Ferrari un leader ritrovato, Crìscito un mancino poliedrico, Bocchetti una promessa mantenuta giunta fino alla convocazione in Nazionale.
Male, invece, la Roma. Per due anni seconda forza del campionato, i giallorossi hanno pagato i troppi infortuni e, soprattutto, una sessione estiva di calciomercato che ha portato nella capitale giocatori inadatti alla causa giallorossa: Riise, Menez e Julio Baptista hanno raramente dato sfoggio delle proprie doti, spesso tenute nascoste. Da qui il sesto posto che costringerà i giallorossi a disputare l’Europa League, con conseguente ridimensionamento. Ed in Europa League, con i giallorossi, ci saranno anche i cugini laziali, abili a mettere in bacheca la Coppa Italia.
Comprese tra Roma e Lazio in classifica si trovano tre gradite sorprese, dovute all’ottimo operato degli allenatori: Udinese, Palermo e Cagliari. I friulani, dopo un avvio sorprendente, che li aveva addirittura visti in vetta alla classfica, hanno poi subito un prolungato black out che per poco non li ha fatti sprofondare in zona retrocessione, zona retrocessione da cui il Cagliari sembrava essere destinato a non uscire fino a termine campionato dopo il kappaò subito a Lecce nel quinto turno, dopo il quale i sardi si trovavano ancora a quota zero punti in classifica. Dopo il pari con il Milan della settimana successiva è scattata la scintilla che ha permesso ad Allegri ed i suoi uomini di risollevarsi fino a permettersi di sognare un posto in Europa. E proprio l’Europa era l’obiettivo di Ballardini, non di Zamparini però, che, insoddisfatto, ha deciso di dare il benservito al tecnico che con il suo spumeggiante 4-3-1-2 ha dato un – bel – gioco ad i rosanero, purtroppo insufficiente per convincere il vulcanico presidente a riconfermarlo.
Salvezze tranquille per Atalanta, Napoli e Sampdoria, ma se per gli orobici si è trattato di una stagione fruttuosa, in cui spiccano i successi su Inter e Roma, Samp e soprattutto Napoli hanno deluso le attese. I blucerchiati hanno pagato a caro prezzo l’assenza di un centravanti vero nella prima parte di stagione, salvo poi allontanarsi dalla zona pericolosa con l’acquisto di Pazzini, implacabile nel 2009 (11 reti, molte delle quali ispirate da Cassano) dopo un finale di 2008 trascorso alle spalle di Gilardino. I partenopei possono parzialmente giustificare un girone di ritorno da incubo (appena 13 i punti conquistati, 20 in meno dell’andata) con la preparazione estiva anticipata a causa dell’Intertoto. Il cambio di allenatore, poi, non ha particolarmente giovato.
Tornando in tema allenatori, numerose salvezze sono dovute proprio alla mano dei tecnici: Siena, Catania e soprattutto Chievo potrebbero essere intenti a programmare la prossima stagione in cadetteria, se non fosse per Giampaolo, Zenga e Di Carlo. E proprio da Mimmo Di Carlo vale la pena di iniziare, perché l’ex centrocampista vicentino ha rivitalizzato i gialloblu, passati dal disastroso rendimento avuto con Iachini ad passo «europeo». Sulla panchina catanese anche Zenga ha sorpreso, con i suoi metodi innovativi ed il bel gioco espresso, come Giampaolo, abile nel plasmare la propria creatura in maniera da conferirle solidità ed armonia.
A differenza delle tre squadre sopraccitate, la salvezza del Bologna dipende ben poco dalla guida tecnica, anzi, è praticamente opera di un sol uomo, il redivivo Marco Di Vaio, ritornato con successo inatteso al ruolo di centravanti. Bottino di tutto rispetto, 24 gol, quanti Milito ed uno in meno del capocannoniere Ibrahimovic.
Retrocedono invece in B Lecce e Reggina, non all’altezza della massima serie. A fargli compagnia ci sarà il Toro, che fa ritorno nella serie cadetta dopo tre – travagliate – stagioni in A.
Detto delle squadre, ora tocca alle individualità. Tra le sorprese, impossibile non citare il giovanissimo e duttile Santon, il potente Asamoah, l’ossigenato danese Kjær ed i già noti al sottoscritto Zárate, Zuñiga e Jovetic. Menzioni anche per il goleador Marilungo, il fresco azzurro Esposito, il difensore senese Brandão ed il portiere atalantino Consigli. Non vanno però dimenticate le splendide stagioni disputate da Thiago Motta, finalmente a proprio agio dal punto di vista fisico, di Gaetano D’Agostino, eccelso regista dell’Udinese, e del già citato Di Vaio, di nuovo prima punta e di nuovo protagonista. Tra i flop, il più fragoroso è indubbiamente quello di Quaresma, la cui trivela non ha riscosso successo nella Penisola. Come lui, male Mancini e Carrizo, malissimo Shevchenko, Poulsen e Datolo.
Per chiudere, un applauso a tre grandissimi, ormai divenuti degli ex. Inutile dilungarsi nelle celebrazioni, per esprimere quanto fatto da Maldini, Figo e Nedved sul campo di gioco basta accennare ai loro palmares: 2 Palloni d’oro, 6 Coppe dei Campioni/Champions League, 20 campionati nazionali. Addio Paolo, Luis e Pavel, e grazie di tutto.
Antonio Giusto
2 commenti:
No, il blog è tutt'altro che morto.
Ciao Antonio,
volevo proporti uno scambio link. Ho da poco aperto un blog sulla prossima Confederations Cup e mi piacerebbe scambiare con te i nostri indirizzi. Che ne pensi?
Il mio è: videoconfederationscup2009.blogspot.com
Fammi sapere!
Ciao
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